E' arrivata in anticipo il giorno del sopralluogo del "rifugio" di emergenza creato da Acer per i beni raccolti dagli inquilini delle case popolari da spedire in Ucraina. E, in anticipo, con eleganza innata e una ferma dolcezza ha restituito le chiavi al presidente Patrizio Losi dopo aver portato a compimento la sua missione. Nadiya Vibodovska, 44 anni, occhi grandi che non vedono una via di uscita senza spargimento di altro sangue, ha preso in mano la direzione di due grandi raccolte in città: la prima ai Giardini Merluzzo in occasione del mercato domenicale e l'altra di quattro scuole primarie: «Come mediatrice culturale a scuola mi sono assunta questi due impegni e volevo portarli a termine nel più breve tempo possibile. I beni raccolti devono essere spediti rapidamente nella nostra terra perché è lì che servono ai nostri soldati alle nostre famiglie». E così è stato, con il primo camion che partirà proprio in queste ore per la Romania, poi per 35 chilometri all'interno dell'Ucraina dove altri camion di volontari faranno il percorso finale con destinazione Kiev. Un'organizzazione a dir poco perfetta: «Per voi italiani il problema della guerra è arrivato tre settimane fa, ma noi mandiamo aiuti alle nostre famiglie da 8 anni. Siamo quasi tutte donne abituate a fare ogni tipo di mestiere. Per noi il lavoro è un onore, ci permette di essere autonome, di non dipendere da nessuno e di poter aiutare le nostre famiglie rimaste in Ucraina per difendere la nostra terra. Siamo diplomate, molte di noi hanno perfino una laurea, ma qui per lavorare abbiamo fatto corsi per badanti, per assistenti sanitarie». E la moltitudine di aiuti che sta arrivando da tutta Italia le imbarazza: «Noi abbiamo imparato in questi anni quanto siete generosi e per noi l'Italia è un paese meraviglioso. Ma non siamo abituati ad approfittare delle situazioni: noi vogliamo lavorare e non solo ringraziare. Per noi non esiste il concetto di difficoltà: quando ci troviamo davanti ad un problema ci preoccupiamo solo di risolverlo nel modo più veloce». Nella sala di Acer in poche ore tutti i pacchi sono stati aperti, suddivisi per genere e, nel caso dei medicinali, anche per sottotipo. E, naturalmente, tradotti uno per uno in cirillico: «Dobbiamo pensare che una volta giunti nei territori di guerra i farmaci non vanno solo negli ospedali, ma possono essere utilizzati direttamente dai civili, che devono avere le giuste indicazioni e sapere come farne il corretto uso». Pensare a tutto per noi non è facile, neppure in condizioni normali: «Per noi sì. Dovete considerare che noi siamo nati senza avere nulla a disposizione. Non sappiamo cosa sia una comodità, siamo abituati alla povertà, alla conquista di ogni bene. Per questo sappiamo cosa vuol dire risparmiare, non sprecare e lavorare per avere le prime necessità, non il superfluo». E questo è il motivo per cui i beni cosiddetti "superflui" vengoono tenuti qui per i profughi che stanno arrivando: «Inutile mandare là un materasso gonfiabile se non c'è lo spazio per sdraiarsi o vestiti da donna se mancano prima di tutto la biancheria per i soldati e i pannolini per i neonati. E' una questione di priorità e nessuno di noi si sente sacrificato per questo». Il camion della protezione civile arrivato da Milano fa il suo ingresso in Acer al calar del sole del freddo pomeriggio di mercoledì: tutto è pronto, come da programma, meglio del programma: «Partite subito, per favore, i nostri ragazzi hanno bisogno. I soldati non possono cambiarsi, hanno bisogno delle medicine, i nostri civili sono al freddo, nascosti nei corridoi delle metropolitane e hanno fame». E' l'unico momento in cui la voce di Nadiys si fa sottile, trema. Ma è solo un attimo. Deve tornare a lavorare. Con il suo bellissimo viso stanco e sorridente, con l'orgoglio di aver compiuto anche questa volta la sua missione: aver accettato il generoso aiuto dei piacentini senza mai approfittarne e ripagandolo con un lavoro duro e onesto, con la schiena dritta e il cuore colmo di gratitudine.